¿Por qué confesarse? Responde un obispo y teólogo de renombre
internacional
Carta pastoral de monseñor Bruno Forte
CHIETI, 11 de noviembre de 2005 (ZENIT.org).-
¿Por qué confesarse con un sacerdote? A esta típica pregunta ha respondido uno
de los teólogos de mayor prestigio del momento, monseñor Bruno Forte, arzobispo
de Chieti-Vasto (Italia).
El prelado ha dedicado a este argumento la Carta para el Año Pastoral 2005-2006
que lleva por título «La reconciliación y la belleza de Dios».
El arzobispo describe el pecado como «amor replegado sobre sí mismo», que se
niega a Dios, «ingratitud de quien responde al amor con la indiferencia y el
rechazo» pero sobre todo mal real que «hace daño».
«Basta mirar la escena cotidiana del mundo en el que abundan violencias,
guerras, injusticias, abusos, egoísmos, celos y venganzas», llegando a producir
«verdaderas estructuras de pecado», observa.
«Por ello no se debe dudar en subrayar la gran tragedia que es el pecado y cómo
la pérdida del sentido de pecado debilita el corazón ante el espectáculo de
mal», advierte monseñor Forte, que en 2004 predicó los ejercicios espirituales
cuaresmales al Papa Juan Pablo II y a la Curia romana.
«Pedir con convicción el perdón, recibirlo con gratitud y darlo con generosidad,
es fuente de una paz que no se puede pagar. Por ello es justo y hermoso
confesarse», reconoce.
«¿Por qué hay que confesar los propios pecados a un sacerdote y no se puede
hacer directamente a Dios?», se pregunta. «Ciertamente uno siempre se dirige a
Dios cuando confiesa sus pecados», comienza aclarando al dar una respuesta.
«Que sea necesario hacerlo ante un sacerdote nos lo hace comprender Dios mismo
--añade--. Al enviar a su Hijo en nuestra carne, demuestra que quiere
encontrarse con nosotros mediante el contacto directo, que pasa por los signos y
los lenguajes de nuestra condición humana».
«Como Él salió de sí mismo por nuestro amor y vino a "tocarnos" con su carne,
así estamos llamados a salir de nosotros mismos, por su amor, y a acudir con
humildad y fe a quien nos puede dar el perdón en su nombre, con la palabra y con
el gesto», es decir, «a quien el Señor ha elegido y enviado como ministro del
perdón».
«La confesión es por tanto el encuentro con el perdón divino, que nos ofrece
Jesús y se nos transmite por el ministerio de la Iglesia», afirma.
«Acércate a la confesión con corazón humilde y contrito y vívela con fe: te
cambiará la vida y dará paz a tu corazón», exhorta el arzobispo, miembro de la
Comisión Teológica Internacional.
«Entonces, tus ojos se abrirán para reconocer los signos de la belleza de Dios
presentes en la creación y en la historia y surgirá de tu alma el canto de
alabanza», concluye Forte.
Carta pastoral completa en castellano
[El texto de la carta pastoral, en itliano, puede leerse a
continuación]
“La riconciliazione e la bellezza di Dio”, Lettera pastorale dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto
CHIETI, mercoledì, 9 novembre 2005
(ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il
testo integrale della Lettera pastorale per l’anno 2005/2006 di monsignor Bruno
Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto sul tema “La riconciliazione e la bellezza di
Dio”, presentata questo martedì.
* * *
+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Confessarsi,
perché?
La riconciliazione e la bellezza di Dio
Lettera per l’anno pastorale 2005-2006
Proviamo a capire insieme che cos’è la confessione:
se lo capisci veramente, con la mente e col cuore,
sentirai il bisogno e la gioia di fare esperienza di questo incontro,
in cui Dio, donandoti il Suo perdono attraverso il ministro della Chiesa,
crea in Te un cuore nuovo, mette in te uno Spirito nuovo,
perché Tu possa vivere un=esistenza riconciliata con Lui, con Te stesso e con
gli altri,
divenendo a tua volta capace di perdono e di amore
al di là di ogni tentazione di sfiducia e di ogni misura di stanchezza
1. Perché confessarsi?
Fra le domande che vengono poste al mio cuore di Vescovo, ne scelgo una che mi è
stata fatta spesso: perché bisogna confessarsi? È una domanda che ritorna in
molteplici forme: perché si deve andare da un sacerdote a dire i propri peccati
e non lo si può fare direttamente con Dio, che ci conosce e comprende molto
meglio di qualunque interlocutore umano? E, ancora più radicalmente: perché
parlare delle mie cose, specie di quelle di cui ho vergogna perfino con me
stesso, a qualcuno che è peccatore come me, e che forse valuta in modo
completamente diverso dal mio ciò di cui ho fatto esperienza o non lo capisce
affatto? Che ne sa lui di che cosa è veramente peccato per me? Qualcuno aggiunge:
e poi, esiste veramente il peccato, o è solo un’invenzione dei preti per tenerci
buoni? A quest’ultima domanda sento di poter rispondere subito e senza timore di
smentita: il peccato c’è, e non solo è male, ma fa male. Basta guardare la scena
quotidiana del mondo, dove violenze, guerre, ingiustizie, sopraffazioni, egoismi,
gelosie e vendette si sprecano (un esempio di questo “bollettino di guerra” ce
lo danno ogni giorno le notizie su giornali, radio, televisione e internet!).
Chi crede nell’amore di Dio, poi, percepisce come il peccato sia amore ripiegato
su se stesso (“amor curvus”, “amore curvo”, dicevano i Medioevali),
ingratitudine di chi risponde all’amore con l’indifferenza e il rifiuto. Questo
rifiuto ha conseguenze non solo su chi lo vive, ma anche sulla società tutta
intera, fino a produrre dei condizionamenti e degli intrecci di egoismi e di
violenze che costituiscono delle vere e proprie “strutture di peccato” (si pensi
alle ingiustizie sociali, alla sperequazione fra paesi ricchi e paesi poveri,
allo scandalo della fame nel mondo…). Proprio per questo non si deve esitare a
sottolineare quanto sia grande la tragedia del peccato e quanto la perdita del
senso del peccato - ben diverso da quella malattia dell’anima che chiamiamo
“senso di colpa” - indebolisca il cuore davanti allo spettacolo del male e alle
seduzioni di Satana, l’Avversario che cerca di separarci da Dio.
2. L’esperienza del perdono
Nonostante tutto, però, non mi sento di dire che il mondo è cattivo e che fare
il bene è inutile. Sono, anzi, convinto che il bene c’è ed è molto più grande
del male, che la vita è bella e che vivere rettamente, per amore e con amore,
vale veramente la pena. La ragione profonda che mi fa pensare così è
l’esperienza della misericordia di Dio, che faccio in me stesso e che vedo
risplendere in tante persone umili: è un’esperienza che ho vissuto tante volte,
sia dando il perdono come ministro della Chiesa, sia ricevendolo. Sono anni che
mi confesso regolarmente, più volte al mese e con la gioia di farlo. La gioia
nasce dal sentirmi amato in modo nuovo da Dio ogni volta che il Suo perdono mi
raggiunge attraverso il sacerdote che me lo dà in Suo nome. È la gioia che ho
visto tanto spesso sul volto di chi veniva a confessarsi: non il futile senso di
leggerezza di chi “ha vuotato il sacco” (la confessione non è uno sfogo
psicologico né un incontro consolatorio, o non lo è principalmente), ma la pace
di sentirsi bene “dentro”, toccati nel cuore da un amore che sana, che viene
dall’alto e ci trasforma. Chiedere con convinzione, ricevere con gratitudine e
dare con generosità il perdono è sorgente di una pace impagabile: perciò, è
giusto ed è bello confessarsi. Vorrei far partecipi delle ragioni di questa
gioia tutti coloro che riuscirò a raggiungere con questa lettera.
3. Confessarsi da un sacerdote?
Mi chiedi dunque: perché bisogna confessare a un sacerdote i propri peccati e
non lo si può fare direttamente a Dio? Certamente, è sempre a Dio che ci si
rivolge quando si confessano i propri peccati. Che sia, però, necessario farlo
anche davanti a un sacerdote ce lo fa capire Dio stesso: scegliendo di inviare
Suo Figlio nella nostra carne, egli dimostra di volerci incontrare mediante un
contatto diretto, che passa attraverso i segni e i linguaggi della nostra
condizione umana. Come Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a
“toccarci” con la sua carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per
amore Suo e andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo con
la parola e col gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote ti dà nel
sacramento può comunicarti la certezza interiore di essere stato veramente
perdonato e accolto dal Padre che è nei cieli, perché Cristo ha affidato al
ministero della Chiesa il potere di legare e sciogliere, di escludere e di
ammettere nella comunità dell’alleanza (cf. Mt 18,17). È Lui che, risorto dalla
morte, ha detto agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv
20,22s). Perciò, confessarsi da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel
segreto del cuore, esposto alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la
vita e la storia. Da solo non saprai mai veramente se a toccarti è stata la
grazia di Dio o la tua emozione, se a perdonarti sei stato tu o è stato Lui per
la via che Lui ha scelto. Assolto da chi il Signore ha scelto e inviato come
ministro del perdono, potrai sperimentare la libertà che solo Dio dona e capirai
perché confessarsi è fonte di pace.
4. Un Dio vicino alla nostra debolezza
La confessione è dunque l’incontro col perdono divino, offertoci in Gesù e
trasmessoci mediante il ministero della Chiesa. In questo segno efficace della
grazia, appuntamento con la misericordia senza fine, ci viene offerto il volto
di un Dio che conosce come nessuno la nostra condizione umana e le si fa vicino
con tenerissimo amore. Ce lo dimostrano innumerevoli episodi della vita di Gesù,
dall’incontro con la Samaritana alla guarigione del paralitico, dal perdono all’adultera
alle lacrime di fronte alla morte dell’amico Lazzaro… Di questa vicinanza tenera
e compassionevole di Dio abbiamo immenso bisogno, come dimostra anche un
semplice sguardo alla nostra esistenza: ognuno di noi convive con la propria
debolezza, attraversa l’infermità, si affaccia alla morte, avverte la sfida
delle domande che tutto questo accende nel cuore. Per quanto, poi, possiamo
desiderare di fare il bene, la fragilità che ci caratterizza tutti ci espone
continuamente al rischio di cadere nella tentazione. L’Apostolo Paolo ha
descritto con precisione questa esperienza: “C'è in me il desiderio del bene, ma
non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il
male che non voglio” (Rom 7,18s). È il conflitto interiore da cui nasce
l’invocazione: “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rom 7, 24).
Ad essa risponde in modo particolare il sacramento del perdono, che viene a
soccorrerci sempre di nuovo nella nostra condizione di peccato, raggiungendoci
con la potenza sanante della grazia divina e trasformando il nostro cuore e i
comportamenti in cui ci esprimiamo. Perciò, la Chiesa non si stanca di proporci
la grazia di questo sacramento durante l’intero cammino della nostra vita:
attraverso di essa è Gesù, vero medico celeste, che viene a farsi carico dei
nostri peccati e ad accompagnarci, continuando la sua opera di guarigione e di
salvezza. Come accade per ogni storia d’amore, anche l’alleanza col Signore va
rinnovata senza sosta: la fedeltà è l’impegno sempre nuovo del cuore che si dona
e accoglie l’amore che gli viene donato, fino al giorno in cui Dio sarà tutto in
tutti.
5. Le tappe dell’incontro col perdono
Proprio perché desiderato da un Dio profondamente “umano”, l’incontro con la
misericordia offertaci da Gesù avviene attraverso varie tappe, che rispettano i
tempi della vita e del cuore. All’inizio c’è l’ascolto della buona novella, in
cui ti raggiunge l’appello dell’Amato: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Attraverso questa voce è
lo Spirito Santo ad agire in te, dandoti dolcezza nel consentire e credere alla
Verità. Quando ti rendi docile a questa voce e decidi di rispondere con tutto il
cuore a Colui che ti chiama, intraprendi il cammino che ti porta al dono più
grande, quel dono tanto prezioso da far dire a Paolo: “Vi supplichiamo in nome
di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20). La riconciliazione
è appunto il sacramento dell’incontro con Cristo, che attraverso il ministero
della Chiesa viene a soccorrere la debolezza di chi ha tradito o rifiutato
l’alleanza con Dio, lo riconcilia col Padre e con la Chiesa, lo ricrea come
creatura nuova nella forza dello Spirito Santo. Questo sacramento è chiamato
anche della penitenza, perché in esso si esprime la conversione dell’uomo,
il cammino del cuore che si pente e viene ad invocare il perdono di Dio. Il
termine confessione – usato comunemente – si riferisce invece all’atto di
confessare le proprie colpe davanti al sacerdote, ma richiama anche la triplice
confessione da fare per vivere in pienezza la celebrazione della riconciliazione:
la confessione di lode (“confessio laudis”), con cui facciamo memoria
dell’amore divino che ci precede e ci accompagna, riconoscendone i segni nella
nostra vita e comprendendo meglio in tal modo la gravità della nostra colpa; la
confessione del peccato, con la quale presentiamo al Padre il nostro cuore umile
e pentito riconoscendo i nostri peccati (“confessio peccati”); la
confessione di fede, infine, con cui ci apriamo al perdono che libera e salva,
offertoci con l’assoluzione (“confessio fidei”). A loro volta, i gesti e
le parole in cui esprimeremo il dono che abbiamo ricevuto confesseranno nella
vita le meraviglie operate in noi dalla misericordia di Dio.
6. La festa dell’incontro
Nella storia della Chiesa la penitenza è stata vissuta in una grande varietà di
forme, comunitarie e individuali, che hanno però tutte mantenuto la struttura
fondamentale dell’incontro personale fra il peccatore pentito e il Dio vivente
attraverso la mediazione del ministero del vescovo o del sacerdote. Attraverso
le parole dell’assoluzione, pronunciate da un uomo peccatore, che però è stato
scelto e consacrato per il ministero, è Cristo stesso che accoglie il peccatore
pentito e lo riconcilia col Padre e nel dono dello Spirito Santo lo rinnova come
membro vivo della Chiesa. Riconciliati con Dio, veniamo accolti nella comunione
vivificante della Trinità e riceviamo in noi la vita nuova della grazia, l’amore
che solo Dio può effondere nei nostri cuori: il sacramento del perdono rinnova,
così, il nostro rapporto col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, nel cui
nome ci è data l’assoluzione delle colpe. Come mostra la parabola del Padre e
dei due figli, l’incontro della riconciliazione culmina in un banchetto di
vivande saporite, cui si partecipa col vestito nuovo, l’anello e i calzari ai
piedi (cf. Lc 15,22s): immagini che esprimono tutte la gioia e la bellezza del
dono offerto e ricevuto. Veramente, per usare le parole del Padre della parabola,
“bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo mio figlio era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24). Come è bello
pensare che quel figlio può essere ognuno di noi!
7. Il ritorno alla casa del Padre
In rapporto a Dio Padre la penitenza si presenta come un “ritorno a casa”
(questo è propriamente il senso della parola “teshuvà”, che l’ebraico usa per
dire “conversione”). Attraverso la presa di coscienza delle tue colpe, ti
accorgi di essere in esilio, lontano dalla patria dell’amore: avverti disagio,
dolore, perché capisci che la colpa è una rottura dell’alleanza col Signore, un
rifiuto del Suo amore, è “amore non amato”, e proprio così è anche sorgente di
alienazione, perché il peccato ci sradica dalla nostra vera dimora, il cuore del
Padre. È allora che occorre ricordarci della casa dove siamo attesi: senza
questa memoria dell’amore non potremmo mai avere la fiducia e la speranza
necessarie a prendere la decisione di tornare a Dio. Con l’umiltà di chi sa di
non essere degno di venir chiamato “figlio”, possiamo deciderci di andare a
bussare alla porta della casa del Padre: quale sorpresa scoprire che lui è alla
finestra a scrutare l’orizzonte, perché aspetta da tanto il nostro ritorno! Alle
nostre mani aperte, al cuore umile e pentito risponde la gratuita offerta del
perdono, con cui il Padre ci riconcilia con sé, “convertendosi” in qualche modo
a noi: “Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20). Con straordinaria tenerezza Dio ci
introduce in modo rinnovato nella condizione di figli, offerta dall’alleanza
stabilita in Gesù.
8. L’incontro con Cristo, morto e risorto per noi
In rapporto al Figlio il sacramento della riconciliazione ci offre la gioia dell’incontro
con Lui, il Signore crocifisso e risorto, che attraverso la Sua Pasqua ci
dona la vita nuova infondendo il Suo Spirito nei nostri cuori. Questo incontro
si compie attraverso l’itinerario che porta ognuno di noi a confessare le nostre
colpe con umiltà e dolore dei peccati e a ricevere con gratitudine piena di
stupore il perdono. Uniti a Gesù nella Sua morte di Croce, moriamo al peccato e
all’uomo vecchio che in esso ha trionfato. Il Suo sangue sparso per noi ci
riconcilia con Dio e con gli altri, abbattendo il muro dell’inimicizia che ci
teneva prigionieri della nostra solitudine senza speranza e senza amore. La
forza della Sua resurrezione ci raggiunge e trasforma: il Risorto ci tocca il
cuore, lo fa ardere in noi di una fede nuova, che schiude i nostri occhi e ci
rende capaci di riconoscere Lui accanto a noi e la Sua voce in chi ha bisogno di
noi. Tutta la nostra esistenza di peccatori, unita a Cristo crocifisso e risorto,
si offre alla misericordia di Dio per essere sanata dall’angoscia, liberata dal
peso della colpa, confermata nei doni di Dio e rinnovata nella potenza del Suo
amore vittorioso. Liberati dal Signore Gesù, siamo chiamati a vivere come Lui
nella libertà dalla paura, dalla colpa e dalle seduzioni del male, per compiere
opere di verità, di giustizia e di pace.
9. La vita nuova nello Spirito
Grazie al dono dello Spirito che effonde in noi l’amore di Dio (cf. Rm 5,5), il
sacramento della riconciliazione è sorgente di vita nuova, comunione
rinnovata con Dio e con la Chiesa, di cui proprio lo Spirito è l’anima e la
forza di coesione. È lo Spirito a spingere il peccatore perdonato a esprimere
nella vita la pace ricevuta, accettando anzitutto le conseguenze della colpa
commessa, e cioè la cosiddetta “pena”, che è come l’effetto della malattia
rappresentata dal peccato e va considerata come una ferita da sanare con l’olio
della grazia e la pazienza dell’amore da avere verso noi stessi. Lo Spirito, poi,
ci aiuta a maturare il proposito fermo di vivere un cammino di conversione fatto
di impegni concreti di carità e di preghiera: il segno penitenziale richiesto
dal confessore serve appunto ad esprimere questa scelta. La vita nuova, a cui
così rinasciamo, può dimostrare più di ogni altra cosa la bellezza e la forza
del perdono sempre di nuovo invocato e ricevuto (“perdono” vuol dire appunto
dono rinnovato: perdonare è donare all’infinito!). Ti chiedo, allora: perché
fare a meno di un dono così grande? Accostati alla confessione con cuore umile e
contrito e vivila con fede: ti cambierà la vita e darà pace al tuo cuore. Allora,
i tuoi occhi si apriranno per riconoscere i segni della bellezza di Dio presenti
nel creato e nella storia e ti sgorgherà dall’anima il canto della lode. Ed
anche a te, sacerdote che mi leggi e come me sei ministro del perdono, vorrei
rivolgere un invito che mi nasce dal cuore: sii sempre pronto – a tempo e fuori
tempo – ad annunciare a tutti la misericordia e a dare a chi te lo chiede il
perdono di cui ha bisogno per vivere e per morire. Per quella persona potrebbe
trattarsi dell’ora di Dio nella sua vita!
10. Lasciamoci riconciliare con Dio!
L’invito dell’Apostolo Paolo diventa, così, anche il mio: lo esprimo servendomi
di due voci diverse. La prima è quella di Friedrich Nietzsche, che negli anni
della giovinezza scrive queste parole appassionate, segno del bisogno della
misericordia divina che tutti ci portiamo dentro: “Ancora una volta, prima di
partire e volgere i miei sguardi verso l’alto, rimasto solo, levo le mie mani a
Te, presso cui mi rifugio, cui dal profondo del cuore ho consacrato altari,
affinché ogni ora la voce Tua mi torni a chiamare… ConoscerTi io voglio, Te,
l’Ignoto, che a fondo mi penetri nell’anima e come tempesta squassi la mia vita,
inafferrabile eppure a me affine! ConoscerTi, io voglio, e anche servirTi” (Scritti
giovanili, I, 1, Milano 1998, 388). L’altra voce è quella attribuita a
Francesco d’Assisi, che esprime la verità di una vita rinnovata dalla grazia del
perdono: “Signore, fa’ di me uno strumento della Tua pace. Dove è odio, che
io porti l’amore. Dov’è offesa, che io porti il perdono. Dov’è discordia, che io
porti l’unione. Dov’è errore, che io porti la verità. Dov’è dubbio, che io porti
la fede. Dov’è disperazione, che io porti la speranza. Dove sono tenebre, che io
porti la luce. Dov’è tristezza, che io porti la gioia. Maestro, fa’ che io non
cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare, di essere compreso quanto
di comprendere, di essere amato quanto di amare” . Sono questi i frutti
della riconciliazione, invocata ed accolta da Dio, che auguro a tutti Voi che mi
leggete. Con questo augurio, che diventa preghiera, Vi abbraccio e benedico uno
per uno
+ Bruno, Vostro Padre nella fede
PER L’ESAME DI COSCIENZA
Preparati alla confessione possibilmente a scadenze regolari e non troppo
lontane nel tempo, in un clima di preghiera, rispondendo a queste domande sotto
lo sguardo di Dio, eventualmente verificandoti con chi possa aiutarti a
camminare più speditamente nella via del Signore:
1. “Non avrai altri dèi all’infuori di me” (Dt 5,7). “Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37).
Amo così il Signore? Gli dò il primo posto nella mia vita? Mi impegno a
rifiutare ogni idolo che possa frapporsi fra me e Lui, sia esso il denaro, il
piacere, la superstizione o il potere? Ascolto con fede la Sua Parola? Sono
perseverante nella preghiera?
2. “Non pronunciare il nome di Dio invano” (Dt 5,11). Rispetto il nome santo di
Dio? Abuso mai del riferimento a Lui, per offenderLo o servirmi di Lui invece di
servirLo? Benedico Dio in ogni mio atto? Mi rimetto senza riserve alla Sua
volontà su di me, confidando totalmente in Lui? Mi affido con umiltà e fiducia
alla guida e all’insegnamento dei Pastori, che il Signore ha dato alla Sua
Chiesa? Mi impegno ad approfondire e nutrire la mia vita di fede?
3. “Ricordati di santificare le feste” (cf. Dt 5,12-15). Vivo la centralità
della Domenica, a cominciare dal suo cuore pulsante che è la celebrazione dell’eucaristia,
e gli altri giorni sacri al Signore per lodarLo e ringraziarLo, per affidarmi a
Lui e riposare in Lui? Partecipo con fedeltà e impegno alla liturgia festiva,
preparandomi ad essa con la preghiera e sforzandomi di trarne frutto durante
tutta la settimana? Santifico il giorno di festa con qualche gesto di amore
verso chi ha bisogno?
4. “Onora il padre e la madre” (Dt 5,16). Amo e rispetto coloro che mi hanno
dato la vita? Mi sforzo di comprenderli ed aiutarli soprattutto nella loro
debolezza e nei loro limiti?
5. “Non uccidere” (Dt 5,17). Mi sforzo di rispettare e promuovere la vita in
tutte le sue fasi e in tutti i suoi aspetti? Faccio tutto ciò che è in mio
potere per il bene degli altri? Ho fatto del male a qualcuno con esplicita
intenzione di farlo? «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39). Come
vivo la carità verso il prossimo? Sono attento e disponibile soprattutto verso i
più poveri e i più deboli? Amo me stesso sapendo accettare i miei limiti sotto
lo sguardo di Dio?
6. “Non commettere atti impuri” (cf. Dt 5,18). “Non desiderare la donna del tuo
prossimo” (Dt 5,21). Sono casto nei pensieri e nelle azioni? Mi sforzo di amare
con gratuità, libero dalla tentazione del possesso e della gelosia? Rispetto
sempre e in tutto la dignità della persona umana? Tratto il mio corpo e il corpo
altrui come tempio dello Spirito Santo?
7. “Non rubare” (Dt 5,19). “Non desiderare la roba degli altri” (Dt 5,21).
Rispetto i beni del creato? Sono onesto nel lavoro e nei miei rapporti con gli
altri? Rispetto il frutto del lavoro altrui? Sono invidioso del bene degli altri?
Mi sforzo di rendere gli altri felici o penso solo alla mia felicità?
8. “Non pronunciare falsa testimonianza” (Dt 5,20). Sono sincero e leale in ogni
mia parola e azione? Testimonio sempre e solo la verità? Cerco di dare fiducia e
agisco in modo da meritarla?
9. Mi sforzo di seguire Gesù sulla via del dono di me stesso a Dio e agli altri?
Cerco di essere come Lui umile, povero e casto?
10. Incontro il Signore fedelmente nei sacramenti, nella comunione fraterna e
nel servizio dei più poveri? Vivo la speranza nella vita eterna, guardando ogni
cosa nella luce del Dio che viene e confidando sempre nelle Sue promesse?
ATTO DI DOLORE
(Per manifestare il pentimento e invocare la misericordia del Signore)
Mio Dio,
mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i Tuoi castighi
e molto più perché ho offeso Te,
infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col Tuo santo aiuto di non offenderTi mai più
e di fuggire le occasioni prossime del peccato.
Signore, misericordia, perdonami!
Oppure:
Padre santo, come il figliuol prodigo
mi rivolgo alla tua misericordia:
“Ho peccato contro di Te,
non sono più degno d’esser chiamato tuo figlio”.
Cristo Gesù, Salvatore del mondo,
che hai aperto al buon ladrone
le porte del paradiso,
ricordati di me nel Tuo regno.
Spirito Santo, sorgente di pace e d’amore,
fa’ che, purificato da ogni colpa
e riconciliato con il Padre,
io cammini sempre come figlio della luce.
Oppure:
Signore Gesù Cristo,
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo,
riconciliami con Dio Padre
nella grazia dello Spirito Santo,
lavami nel Tuo sangue da ogni peccato
e fa’ di me una creatura nuova
a lode della Tua gloria!